Dopo la guerra il giardinaggio: nuova vita per i rifugiati siriani

Nel campo profughi di Za'atari sono al lavoro i volontari di Save the Children che cercano di far rinascere la speranza nei rifugiati attraverso le lezioni di giardinaggio.

3 DIC 2014 · Tempo di lettura: min.
Foto di Save the Children

Anche durante una guerra si possono intravedere i primi germogli della rinascita. La speranza è giunta nei campi profughi giordani grazie a Save the Children e al giardinaggio: l'orticoltura come speranza e mezzo di autosostentamento.

Dal 2011, la Siria è dilaniata da una sanguinosa guerra civile che vede la contrapposizione delle forze del governo di al-Asad e quelle dell'opposizione dei ribelli. A causa del conflitto, migliaia di siriani hanno valicato il confine con la vicina Giordania, stabilendosi in numerosi campi profughi. In quello di Za'atari sono al lavoro i volontari di Save the Children che cercano di far rinascere la speranza nei rifugiati.

Fra le iniziative dell'organizzazione non-profit troviamo le lezioni di giardinaggio che cercano d'insegnare le basi dell'orticoltura a bambini e adulti.

"Il giardinaggio ha permesso loro di fare qualcosa con le proprie mani e ha donato loro un senso di realizzazione. Abbiamo visto un cambiamento incredibile in loro"

Lo ha affermato Mohanned Abu Farah, insegnante di giardinaggio di Save The Children.

L'iniziativa serve non solo per cercare di ritornare alla vita di tutti i giorni, ma anche per dare l'opportunità di apprendere un mestiere che consenta a queste persone di essere autosufficienti o di produrre autonomamente il proprio fabbisogno. Le lezioni vertono su diversi temi, fra cui permacultura, agricoltura urbana e coltivazioni idroponica.

Si tratta di un'opportunità soprattutto per i bambini che pian piano escono dal guscio che si sono creati a causa della guerra e che ritornano a fare amicizia e a lavorare in squadra grazie alle lezioni dei volontari. Dopo la fuga dal conflitto, infatti, il giardinaggio può essere utile per ritornare a fare qualcosa di concreto, per scacciare il senso d'impotenza che attanaglia i rifugiati.

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