RAZZISMO VEGETALE
In tutti i casi, ma ancor più in questo mondo in rapida evoluzione, bisogna che razionalità e buon senso prevalgano su posizioni ideologiche e aprioristiche
Non so quante volte ho sentito enunciare il principio della "pianta giusta al posto giusto". Una volta mi sembrava un principio talmente ovvio da non avere nessuna necessità di essere formulato: chi mai vorrebbe mettere una pianta sbagliata in un posto sbagliato? Mi sbagliavo: c'è chi lo vuole. Non calcolavo l'esistenza dei talebani delle piante "autoctone". Per costoro una pianta sbagliata, ma "autoctona", è sempre meglio di una pianta giusta, ma "alloctona". Si tratta di una generalizzazione che non regge, una sorta di razzismo vegetale alimentato da un falso ecologismo. Oltretutto, quello di autoctono, o nativo, è un concetto espresso spesso in modo vago e inaccurato, o confuso con altri termini, quali spontaneo o naturalizzato o endemico, o stiracchiato e riadattato secondo convenienza.
Tante volte ho sentito dire: "Vogliamo solo specie autoctone". Ma autoctone di che? Di per sé il termine "autoctono" non significa nulla; per meglio dire, significa "originario del luogo", per cui assume un vero significato soltanto se si specifica qual'è il luogo: è qui, d'accordo, ma quel "qui" fin dove arriva? Ma anche specificando il luogo, il termine può avere solo un significato linguistico, che non ci accontenta, perché a noi interessa che abbia anche un significato naturalistico. Ad esempio: se siamo in Lombardia, ha senso dire (come ho più volte sentito) "vogliamo solo piante autoctone della Lombardia"? No, per almeno due motivi.
Il primo motivo è che, se non si riaggiusta la definizione di "autoctono" a proprio uso e consumo, significa che si vogliono solo piante che sono comparse sulla faccia della Terra proprio in Lombardia: se ci sono arrivate dopo, possono magari essere spontanee o naturalizzate, ma non autoctone. Ma quali piante sono comparse sulla faccia della Terra proprio in Lombardia? Personalmente non ne conosco. Qui però ci arriva in aiuto il cosiddetto Principio di Innocenza: una specie deve ritenersi autoctona se non è dimostrato che non lo sia. Si tratta chiaramente di una forzatura, ma che almeno è ragionevolmente pragmatica.
Il secondo motivo è che viene meno il significato naturalistico di cui dicevo. Affinché questo significato sussista, e se si vuole che una pianta autoctona sia anche "adatta", l'areale di riferimento deve essere ecologicamente omogeneo, e la Lombardia, per restare nel nostro esempio, non lo è. Lo sono invece aree più limitate: Alta Pianura Occidentale, Alta Pianura Centrale, Alta Pianura Orientale, Alto Camuno, Alto Lario e Verbano, Bassa Pianura Occidentale, Bassa Pianura Centro-Orientale, Benacense, Bormiese-Livignasco, Camuno-Caffarense, Chiavennasco, Oltrepò Pavese Planiziale, Oltrepò Pavese Collinare, Oltrepò Pavese Montano, Pianalti, Prealpino Occidentale, Prealpino Centrale, Prealpino Orientale, Sud-Orobico, Valtellinese; o magari, rinunciando a un po' di dettaglio, le (sotto)regioni: Appenninica, Esalpica, Endalpica, Mesalpica, Planiziale. In linea di principio sarebbe quindi formalmente corretto richiedere, ad esempio, piante autoctone della regione planiziale lombarda; naturalmente all'atto pratico non se ne troverebbero, a meno di non ricorrere al Principio di Innocenza.
Al di là di questo, affidarsi alle sole specie native è una radicalizzazione ideologica da evitare, e per fortuna evitata dai nostri antenati; basti pensare a come sarebbero adesso i paesaggi toscani senza gli ulivi e i cipressi, o quelli siciliani senza gli agrumi, i mandorli e i fichi d'India, o più prosaicamente i nostri orticelli senza patate e pomodori: sono la dimostrazione che specie aliene, o alloctone, possono essere apportatrici di bellezza paesaggistica, di biodiversità, di prodotti della terra "a chilometro zero", e non sono invasive se non in alcuni casi particolari. I talebani delle piante autoctone sostengono che non è detto che una specie che non è mai stata invasiva non lo possa diventare in futuro. Ma questo vale per tutte le specie, anche per quelle autoctone, ed è un esempio del cosiddetto Principio di Precauzione, che è il tipico argomento di chi non ha argomenti.
In realtà, sono spesso le specie native o presunte tali a non essere adatte alle condizioni particolari di un luogo, soprattutto se si tratta di un parco o giardino di città, che ha caratteristiche ed esigenze del tutto diverse da quelle di un habitat naturale: è un ambiente limitato, circoscritto, ad elevata frequentazione antropica, a bassa densità vegetale, con suoli asfittici e compattati, con una bassa qualità dell'aria, con illuminazioni artificiali e notturne. Lì bisogna creare dei micro-habitat compatibili con le condizioni locali, sia pedologiche, sia microclimatiche, sia di disturbo antropico, magari con specie alloctone che funzionino meglio di quelle autoctone.
Più in generale, la rapida mutabilità del clima sta disadattando, o rischiando di disadattare, le specie native o naturalizzate, come dimostra il ben documentato fenomeno di migrazione delle piante; tanto che si incomincia a parlare di migrazione assistita, cioè favorita dall'uomo. In definitiva, occorre prevedere quali specie si adatteranno meglio alle condizioni climatiche di un prossimo futuro, autoctone o alloctone che siano, secondo scienza e non secondo ideologia.