PAESAGGI DA VIVERE - TRA NATURA E CULTURA

Piccoli parchi o lunghi itinerari tra opere della natura e opere dell’uomo, senza forzature e velleitarismi progettuali, sono probabilmente più godibili di roboanti prodotti da “archistar"

17 NOV 2021 · Tempo di lettura: min.
PAESAGGI DA VIVERE - TRA NATURA E CULTURA

Quando qualcuno deve fare per obbligo qualcosa di originale, ma non ha l'ispirazione per farlo, puntualmente baratta l'originalità con l'esagerazione. Personalmente non trovo nulla di originale, e men che meno di geniale, nel progettare delle piante su dei balconi (la gente mette piante sui balconi fin da quando esistono i balconi), nemmeno se le piante sono tante, tanto grandi, tanto in alto e su tanti balconi. Lo stesso vale, per fare un altro esempio, per delle aiuole monospecifiche, anche se sono molte, molto grandi, molto firmate e molto costose.

I giardini (intesi nell'estensione concettuale di opere a verde) sono oggetti sospesi tra natura e cultura: quando uno dei due pilastri crolla, o non esiste in origine, viene meno il giardino. In certi progetti "importanti" la natura viene svilita fino ad essere ridotta a caricatura di se stessa, con effetti anche grotteschi; e non vedo cultura nella riproduzione in gigantografia di opere già fatte da sempre e da tutti con garbo e semplicità.

Beninteso, ci sono casi in cui va anche bene fare progettualmente un po' di spettacolo: ad esempio per specifiche esigenze di intrattenimento, o per rimediare a una condizione di abbandono o di degrado estetico, o per sfruttare spazi piccoli e marginali in un contesto urbano, dove difficilmente si può parlare di "paesaggio". Un caso del primo tipo è la costruzione di un parco a tema per lo svago dei bambini (oltre che degli adulti); un caso del secondo tipo è la valorizzazione della soletta di un parcheggio coperto dove, trattandosi di camuffare una superficie di cemento, si può anche indulgere in qualche ardita fantasia; un caso del terzo tipo è il recupero di una piccola e angusta parcella di terreno tra edifici, dove nessuno sosterebbe mai su una panchina, e alla quale un'estrosa installazione artistica potrebbe dare un senso e un ruolo.

Non è nemmeno detto che si debba per forza dar retta al genius loci, lo "spirito del luogo", che è un po' il mantra del paesaggismo contemporaneo. Ricordiamo che i giardini delle origini erano concepiti proprio seguendo il principio opposto, ossia la discontinuità e la "rottura" con il paesaggio circostante, accompagnata dalla volontà di dominare la natura. I celeberrimi giardini pensili di Babilonia, evidentemente progettati da "archistar" ante litteram, testimoniano, almeno secondo le fonti, una forte aspirazione alla spettacolarizzazione del giardino.

Ma, se lo scopo non è il clamore, il giardino migliore è quello che, pur nascendo da un'idea forte, non appare "troppo progettato" (almeno così mi è stato insegnato, e ho fatto mio questo principio). Non ho svolto indagini scientifiche per comparare il benessere psicologico delle persone in ambienti con grandi forzature progettuali con quello in spazi di forte impronta naturalistica, ma, osservandone le frequentazioni, mi sento ragionevolmente sicuro nell'affermare che i secondi sono più apprezzati dei primi.

Ho la fortuna di avere diversi parchi pubblici (alcuni dei quali ben poco conosciuti) dai connotati naturalistici a poca distanza da casa. Cito come mi vengono: il Parco Ex-Dogana a Lonate Pozzolo, il Parco Meyer a Busto Arsizio, il Parco Calimali in Valle Olona, il Parco Custera a Lurate Caccivio; ma anche un grande "parco lineare" come il lunghissimo nastro verde (85 km) che contiene la pista ciclabile del Canale Villoresi, dai bacini del Panperduto all'affluenza nell'Adda, e attraversa il Parco delle Groane, il Parco del Lura e alcuni parchi cittadini: in sostanza, un compendio di aree naturalistiche.

Sono solo alcuni esempi di spazi verdi perfettamente inseriti nel territorio, in cui l'armonia e il fascino discreto non lasciano spazio a grandi effetti scenografici. Sono per lo più spazi poco o per nulla esibiti, alcuni a carattere strettamente locale e puntiforme, altri di più ampio respiro, ma tutti scevri da forzature e velleitarismi progettuali e tutti in grado di raccontare qualcosa di valore storico o ambientalistico. Mi propongo di fare in futuro un po' di pubblicità a questi "paesaggi da vivere", che fondano nella semplicità e nella naturalezza il loro vigore.

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