POCHE IDEE, MA CONFUSE
I bandi dei “concorsi di idee” per interventi sul paesaggio contengono a volte requisiti tecnicamente, professionalmente, e in qualche caso addirittura socialmente, inappropriati.
Dei requisiti tecnici confusi, tortuosi, incongruenti o inappropriati di certi concorsi di progettazione paesaggistica si è già detto in "Carta canta". Qui si vuole invece parlare dei requisiti di partecipazione ai cosiddetti "concorsi di idee".
A differenza delle Pubbliche Amministrazioni, che tipicamente bandiscono concorsi per progetti definitivi e da realizzarsi, le associazioni culturali bandiscono abitualmente "concorsi di idee", dove le "idee" richieste sono proposte e interpretazioni che si devono distinguere per originalità e freschezza, ma non necessariamente del tutto fattibili e normalmente senza l'esplicita previsione di uno sbocco realizzativo, che riguarderà eventualmente una valutazione successiva ed extra-concorsuale. Gli standard richiesti per avanzare proposte sono, oltre che di tipo tecnico, riguardanti gli elaborati di progetto, anche professionali, riguardanti i titoli in possesso dei concorrenti, e a volte addirittura, e incredibilmente, personali.
Nel campo della progettazione paesaggistica è successo che i requisiti formali per partecipare a questi concorsi fossero inadeguati, incoerenti con le finalità del concorso, e in casi limite addirittura socialmente sconvenienti.
A volte sono dichiarate ammissibili diverse figure professionali, di alcune delle quali vengono specificati i requisiti professionali e di altre no: è chiaro che chi non possiede i requisiti delle categorie per le quali sono specificati può sempre collocarsi in una delle categorie indefinite. Ad esempio, se sono ammessi allo stesso concorso architetti, agronomi e artisti, e per gli agronomi e gli architetti è richiesta l'adesione al relativo ordine professionale ma per gli "artisti" non è specificato nulla, chiunque può collocarsi in quest'ultima categoria; il che rende inutili le specificazioni per le altre.
Beninteso, ciò che è sbagliato, a mio parere, è proprio prevedere dei requisiti formali come adesioni agli ordini o certificazioni di competenze. Al di là del fatto che molti ritengono gli ordini professionali istituzioni arcaiche e anacronistiche, quando si tratta di concorsi "di idee", cioè riguardanti proposte concettuali e non progetti da portare fino all'esecuzione, non ha alcun senso restringere la partecipazione a determinate categorie: se un lanciatore di coltelli ha un'idea migliore di quelle degli architetti, è giusto che venga premiato il lanciatore di coltelli. In generale, bisognerebbe sempre valutare e decidere nel merito: le capacità vanno dimostrate sul campo e non astrattamente. Ma, si sa, affidarsi a criteri formali pregiudiziali è decisamente più comodo.
In ogni caso questi requisiti, se proprio si vogliono imporre, è imperativo che siano specificati all'interno del bando. È inappropriato e di assai dubbia validità affidare la loro formulazione a un addendum pubblicato qualche tempo dopo il bando, magari a procedura di invio dei progetti già aperta. Non si possono cambiare le regole del gioco a partita già iniziata.
Ma la situazione è ben peggiore, poiché si passa dal professionale al personale, quando vengono fatte discriminazioni di genere. In particolare, limitare la partecipazione a un concorso a concorrenti femmine, o gruppi di progettisti a prevalente presenza femminile, è socialmente inaccettabile. Le discriminazioni di genere sono deprecabili quando vanno sia un senso che nell'altro.